Nella mia carriera montanara ho vissuto esperienze diverse, alcune magnifiche, altre stressanti, altre ancora faticose, facili, impegnative, estraneanti e così via, stavolta però la Majella ha lasciato un segno indelebile, un'esperienza che mi ha colpito e affondato provandomi fisicamente e mentalmente. Il percorso scelto era arduo, forse troppo, e per la prima volta posso dire che spero di non ripetere più una tale avventura. Ce ne sono successe di tutti i colori quindi mettetevi comodi e vi auguro una buona lettura, sempre che riuscirete ad arrivare alla fine di questo racconto.
Il gruppo è eterogeneo e totalmente inedito, paradossalmente l'unico che conosco "montanaramente" è Enrico "Squarcio" iniziato in un bellissimo giro sui Sibillini due anni or sono, oltre a lui un suo amico, Fabrizio detto "Nash", molto allenato ma totalmente inesperto, Simone conosciuto in vesti professionali con cui da tempo si prova a girare per monti e Vincenzo, conosciuto sul verticale delle pareti Rock & Walls e volenteroso di condividere la passione del trekking in questa avventura.
Il percorso scelto è ambizioso; nei miei primi anni di trekking, nella convinzione di onnipotenza che avvolge quasi tutti coloro che non conoscono la montagna, avevo cercato quale fosse il percorso con maggiore dislivello di tutto l'Appennino e la risposta fu la salita al monte Amaro da Fara San Martino con i suoi oltre 2.300mt ca. di ascesa. Dopo tanti programmi saltati, dopo anni di attesa e dopo la partenza di amici con cui condividevo il progetto ho deciso fosse giunto il momento di affrontare la salita scegliendo per la discesa un'altra vetta (monte Acquaviva) con annessa zona che a legger le recensioni sembra molto impervia e selvaggia (valle Acquaviva e Val Serviera).
Ci diamo appuntamento alle 06.15 a Piazza Sempione, comodo per me, Squarcio e Nash. Alle 6:14 si presentano puntualissimi Vincenzo, eroico, venuto da 10km lontano in bicicletta e Simone con la sua auto da Frascati mentre degli altri due giovini nemmeno la traccia, ci mangiamo un cornetto, parcheggiamo la bici, carichiamo l'auto bombardando di sms e chiamate i due ma giunte le 07:10 decidiamo di partire. Solo dopo due ore, mentre noi siamo quasi all'arrivo del viaggio mi chiama Enrico dispiaciutissimo, ormai sembra che per loro l'escursione è da rimandare invece con nostro stupore scopro che i due hanno talmente tanta determinazione che si mettono in macchina chiedendo a me sicurezze sulle loro possibilità e info sul percorso, personalmente credo che in certe circostanze delle persone inesperte inconsapevoli delle insidie della montagna non dovrebbero avventurarsi da sole, in tarda ora e su un percorso impegnativo, tuttavia la decisione spetta a loro e saputo della loro partenza passo mezz'ora di curve a scrivere sul cellulare qualsiasi informazione possibile, come se non bastasse ad Enrico lo zaino, il sacco a pelo, le borracce, la torcia, la cartina e la descrizione le davo io, non mi rimane altro da fare che mettere tutto nello zaino e lasciarlo al bar di Fara, soprattutto cartina e copie di un libro con tutti i percorsi della zona insieme ad un biglietto in cui in maniera esplicita dico ai giovani di non perder tempo, di valutare attentamente i tempi e di scegliere eventuali bivacchi alternativi (puntualmente indicati) dove fermarsi per qualsiasi evenienza, gli dico di entrare nel rifugio Manzini una volta arrivatici per assicurarsi che noi altri non ci siamo fermati li, infine concludo il biglietto con la frase "siete e siate forti!" che a fine giornata scoprirò non aver dato la carica sperata bensì aver incusso un po' di preoccupazione.
Finalmente in cammino, le prime ore scorrono lisce in zone magnifiche, la stretta di San Martino, l'eremo, le fonti, le gole, tutto magnifico. Noi tre abbiamo un passo davvero tosto e lungo la salita superiamo 4 aitanti ragazzi che per quanto atletici distanziamo di ben 1h. Sembra che noi tre andiamo in montagna da sempre assieme e c'è un ottimo feeling. Ci fermiamo giusto tre volte per 20m l'uno, per pranzare, per riempire le borracce alla fonte del Milazzo e per fare un po' di bouldering alla Sala del Monaco.
Sono le 17:30 e stiamo nella valle Cannella, manca davvero poco prima di giungere al Manzini quando il cielo diventa nero e dietro le creste dal lato di Campo di Giove vediamo luci e sentiamo tuoni, a contare i secondi e a vedere il movimento delle nubi sembra stia venendo verso noi. Ci concediamo giusto il tempo per esclamare che quest'anno le previsioni meteo non ci hanno preso mai e di corsa ci copriamo con tutte le cose impermeabili a nostra disposizione e ci avviamo con passo svelto nella speranza di raggiungere il rifugio. Purtroppo per noi il diluvio ci colpisce in pieno, una grandinata violenta ci zuppa da testa a piedi e proprio quando siamo alla soglia del Manzini la pioggia finisce. A quota 2.523mt, dopo 2100mt ca. di salita siamo costretti a fermarci, entriamo nel rifugio già abbastanza affollato, ci spogliamo mettendo le poche cose asciutte salvatesi in fondo gli zaini e ci ficchiamo negli umidi sacchi a pelo fortemente infreddoliti nel tentativo di riprenderci dall'umido.
In tutto questo sono in pensiero per Enrico e Fabrizio, stando più giù nella valle forse non hanno preso l'acquazzone in pieno, per quanto mi riguarda posso solo aspettare che arrivino per avere notizie ma per quanto convinto della loro forza e determinazione so che per loro senza esperienza la giornata non deve esser stata facile. Per mia fortuna i miei pensieri non durano molto perché dopo meno di 1h i coinquilini del rifugio ci dicono di vedere due ragazzi arrivare e poco dopo eccoti Nash e Squarcio fare il loro ingresso nel rifugio zuppi e affranti, soprattutto Enrico che, come confessa, usando l'esperienza dei Sibillini come metro di paragone si è trovato in difficoltà mentale negli ultimi metri, soprattutto dopo la pioggia presa seppur meno intensamente che noi, "La Majella è un c***, tutta un'altra cosa rispetto ai Sibillini!?". I due sono stati davvero forti, sono saliti con passo costante fermandosi spesso ma per massimo 2m per poi riprendere la marcia forsennata, hanno effettuato la salita in 6h 30m ca. e nonostante l'acqua presa hanno proseguito focalizzando la meta. A loro vanno gli allori di un dovuto elogio!
Ormai siamo tutti riuniti, scherziamo per quanto possibile, ci sistemiamo nel ripiano basso delle tavolacce del rifugio, stendiamo i panni alla bene e meglio, mangiamo qualcosa e impostiamo la sveglia alle 5:00 per cercare di stare in vetta all'alba e avere tutta la giornata per affrontare la lunga discesa.
La notte è insonne, sia per me che per gli altri (tranne apparentemente per il beato Vincenzo), guardo l'orologio attaccato alla spranga sopra di me e segna le 23:30, sembra sia passata una giornata sana, provo a chiudere gli occhi e a sistemarmi meglio, dormo profondamente e mi sveglio convinto siano passate ore e l'orologio segna le 23:32, passo così quasi tutta la notte infinita e arrivate le 5:00 sono quasi contento di mettermi in marcia al gelo.
La giornata di sabato è alle spalle, il dislivello e la pioggia hanno messo già un punto esclamativo all'escursione ma la giornata che ci attende è decisamente lunga e alle 6:00 siamo in cammino, chi in mutande chi coi i piedi stagnanti. L'ambiente è meraviglioso, il freddo non è intenso ma punge sulle parti scoperte del corpo, si intuisce che dietro delle cimette il sole è già sorto sull'Adriatico e mano mano vediamo il cielo assumere colori violacei e rossicci, le nubi bianche sfumate rendono il quadro più suggestivo mentre piano piano il rosso dei raggi va illuminando dalla punta alla base il monte Amaro fino a scaldarci le guance e a farci stropicciare gli occhi. In questa atmosfera, poco prima delle 7:00 siamo a quota 2.793mt.
Dopo un paio di foto ci rimettiamo in cammino, stendiamo i panni sugli zaini e proseguiamo per i saliscendi dei Tre Portoni, tutto intorno a noi è pieno di camosci, sembrano a loro agio e in certi momenti si lasciano avvicinare per poi muoversi in branco velocemente sui pendii della Majella, superiamo una zona piena di sfasciumi che sembrerebbero una frana se non fossero poggiati sul punto più alto della zona. Dopo qualche km dall'Amaro e 300mt di saliscendi siamo sul monte Acquaviva, montagna a forma di pandoro non ambitissima ma seconda vetta più alta della Majella e terza dell'Appennino (se si considerano le vette del Corno Grande come unica entità).
E' da questo momento che lo strazio sta per avvenire, siamo a quota di oltre 2.700mt e dobbiamo arrivare a una quota inferiore i 500mt e abbiamo alle spalle già 3h e mezzo di cammino e alcune centinaia di metri di saliscendi. Continuiamo il percorso oltrepassando la vetta in direzione della valle dell'Acquaviva mentre sullo sfondo, nella valle chietina, il lago di bomba si riconosce distintamente insieme al mare Adriatico. Seguiamo degli ometti di pietra fino a che non scompaiono e seguendo delle indicazioni (per fortuna precise, soprattutto nelle indicazioni altimetriche) scendiamo fino a quota 2.200mt per sfasci brutti su sdirrupi, caliamo per due o tre canalini ghiaiosi sotto lo sguardo attento di camosci.
Io e Simone (più lui che io) ci mettiamo davanti al gruppo a cercare chi a destra chi a sinistra la via migliore di ascesa, nel frattempo Vincenzo, grandissimo, capisce il momento di difficoltà del team e si autoimpartisce un piccolo compito ovvero fare da chioccia ai due meno esperti che determinati ma goffi scendono il pendente versante.
Lo sfascio si fa più contenuto e a quota 2.000mt si affievola del tutto. Tutt'intorno ci sono decine di grotte e seguendo uno sfascio di acquedotto entriamo in un bosco di pini mughi dove la traccia rimane meno evidente. Usciamo a quota 1.696mt nei pressi di una roccia e scorgiamo la grotta Callarelli e il comodo sentiero, giusto il tempo di un bivacco e ripartiamo, non prima di aver tentato uno scherzo ad Enrico. Si dal caso che il poverino come altri abbia passato la notte insonne ma la sua grande capacità di sfruttare ogni secondo di riposo gli consente di addormentarsi profondamente anche per soli 5m di pausa, ancor meglio se si tratta di 30m di pranzo. L'idea malsana è ormai partorita, mentre Enrico dorme decidiamo di alzarci, prendere tutto e nasconderci per vedere la faccia di Squarcio che, una volta svegliato, pensa di esser stato abbandonato. L'istinto della vittima però non si lascia ingannare e quando stiamo per allontanarci furtivi lui si sveglia e ci inveisce educatamente.
Ci rimettiamo in cammino, superiamo un fosso e raggiungiamo la grotta Callarelli che ci sembra più calda e accogliente del rifugio in cui abbiamo dormito. Riempiamo le borracce nella sorgente di stillicidio presente in loco e ci rimettiamo di buon passo in marcia verso colle Bandiera. Alla nostra destra la profonda gola della Val Serviera si lascia ammirare mentre il sentiero sfiora grotte pastorali e magnifiche statue di roccia, sotto una di queste è presente fonte viola che più che una fonte sembra una porta che si affaccia nelle viscere di un torrente nascosto che prorompente scroscia tutta la sua portata d'acqua con violenza.
Proseguiamo prima in alita poi in rapida discesa e quando stiamo quasi nei pressi di colle bandiera davanti a noi all'improvviso tutto diventa nero, una nuova carica presente sul chietino comincia a scaricare un acquazzone, noi siamo degli spettatori in prima file e all'improvviso non vediamo che una tela oscura squarciata da fulmini che ammiriamo terrorizzati, la nube viene verso di noi e dopo esserci ricoperti con le cose impermeabili acceleriamo di molto il passo e giungiamo come bersaglieri a colle bandiera, un fugace selfy e poi di nuovo giù per il sentiero che passa proprio sotto l'acquazzone che si è avvicinato. La grandine scende violenta mentre i fulmini vanno quasi in contemporanea coi tuoni, il nostro sentiero di discesa è diventato un torrente e sembra quasi di fare canyoning piuttosto che trekking.
I fulmini sono ormai lontani e la pioggia rallenta la discesa, noi siamo stanchissimi e quest'ultimo tratto è anche abbastanza scosceso ma evidente. Dal pantaloncino corto che indosso prestatomi con amore (il mio lungo non si è ancora asciugato dal giorno prima) comincia ad uscire sapone che mi avvolge la gamba (vedere le foto per credere) ma è il male minore rispetto a quanto stiamo passando. La stanchezza all'improvviso prende il sopravvento su di me, rallento d'improvviso a causa di depotenziati e dolorosi quadricipiti, il sonno e la stanchezza uniti al diluvio mi rendono paonazzo tanto che Vincenzo vedendomi in viso mi chiede se stia bene.
Al terminar della pioggia siamo quasi arrivati al campo sportivo alla base della montagna e siamo convinti che le nostre fatiche finalmente siano finite. Purtroppo come se le difficoltà passate non fossero già abbastanza ci ritroviamo invasi da mosche, tafani e insetti di qualsiasi tipo. La marcia diventa fastidiosissima e mentre le mosche si posano continuamente in faccia, in bocca, sulle gambe e agli occhi proseguiamo scacciando il fastidio dal viso e in un breve momento di lucidità ci rendiamo conto che il campo sportivo è distante ben 4km dalla macchina, tradotto, altri 45m buoni di marcia in boschi sotto l'assalto di insetti.
Io sono allo strenuo delle forze; come gli altri non vedo l'ora di dar fine a questo massacro, vengo punto da insetti più volte, in una di queste occasioni vedo distintamente il mio aggressore su uno stinco, si tratta dell'Hematopota Pluvialis che una volta riconosciuta sul web in una foto risponde alla perfezione alla descrizione: "L'Uomo è attaccato in ambienti rurali e forestali, laddove si rileva un'altra concentrazione di questi mammiferi e dei tabanidi a loro associati. L'attività si svolge in pieno giorno, in giornate calde e afose e in assenza di vento, con la massima intensità in piena e tarda estate. Alcune specie sono particolarmente aggressive in prossimità dei temporali" (Wikipedia).
Alle 19.00 ca. giungiamo finalmente a Fara San Martino, 13h di cammino scendendo quelli che il gps segna come 2.700mt di dislivello in discesa di cui 500 su ghiaie scoscese e 600 su tracce pendenti.
Un'avventura unica, incredibile, per fortuna anche irripetibile, al momento della stesura di questo racconto lo scrittore è ancora disteso sul letto dopo 5gg di blocco ai muscoli della gamba... eh già, a quanto pare sono allergico alle punture di insetto e i 7 pizzichi del tafano (1 polpaccio, 1 stinco, 2 collo, 1 in fronte e 2 sul petto) hanno reagito con la contrazione perpetua dei muscoli svanita solo dopo 5gg di antistaminico.
La lezione? studiare approfonditamente un percorso non è mai abbastanza, non è sempre piacevole concatenare anelli duri, una crema cortisonica è sempre bene averla e dopo la mia seconda ascesa alla vetta più alta della Majella posso dire che per questo monte il nome è azzeccatissimo!
Partecipanti: Fabio D'Angelo, Simone Gentile, Vincenzo Visciano, Enrico "Squarcio" Chironi, Fabrizio "Nash" Nesci
Per vedere la descrizione del percorso Anello Vallone di Fara, Monte Amaro, Monte Acquaviva e Val Serviera da Fara S.Martino clicca qui